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Alla fine di ottobre, alla quarta ora, nella nostra classe,  i 3 professori di educazione fisica con la professoressa di italiano sono entrati con aria determinata.

Gli alunni sorpresi, quasi spaventati, non avevano idea di cosa si sarebbe parlato.

Tra il brusio generale, la professoressa d’Onofrio ha scritto alla lavagna la parola “empatia”. 

Nessuno sapeva veramente il motivo di questo intervento e, alle richieste di spiegazioni degli alunni, i professori non hanno dato una risposta precisa.

La domanda principale è stata: “che cos’è l’empatia, come possiamo aiutare gli altri affinché nessuno si senta escluso”?

Il silenzio è stato tombale. 

Quanto accaduto quel giorno dimostra che in effetti il concetto di empatia, e comunque l’attenzione ai bisogni dell’altro, non è tra le nostre priorità. Probabilmente perché non la conosciamo o probabilmente perchè tendiamo ad ignorare i problemi degli altri.

C’è un modo per cambiare le cose?

Forse alzare lo sguardo e fissare negli occhi chi si ha di fronte. Forse tendere la mano a chi è in difficoltà potrebbe aiutarci a creare un ambiente più accogliente per tutti.

Spesso, troppo spesso, non ci preoccupiamo dello stato d’animo della gente che ci circonda.

Purtroppo tendiamo a scappare dalle nostre emozioni e questo alle volte ha delle conseguenze davvero negative. Scappiamo perché ci travolgono e non ne sosteniamo il peso, scappiamo perché la società le mette in secondo piano, sembrano quasi solo dannose. Invece non riconoscere le proprie emozioni non ci farà riconoscere quelle degli altri. Il razzismo, il bullismo, la violenza in generale molto spesso ha questa origine. Non consideriamo gli altri per come sono, ma solo per quello che possono servire a noi e possono darci. Vivere in una società così può davvero diventare un incubo. 

Per comprendere l’altro dobbiamo riconoscere le sue diversità e accettarle.

Essere empatici vuol dire, probabilmente, essere migliori.

Aurora Serapiglia – Maria Chiara Angelillo